Una convinzione sulla memoria umana smentita dai fatti

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 07 maggio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’ipotesi nota con la denominazione inglese di reconsolidation-updating postula che tracce della memoria esistenti nel cervello possano essere modificate e perfino cancellate da un nuovo apprendimento che segue la rievocazione. Prove empiriche inconfutabili a sostegno di questa convinzione condivisa da molti ricercatori avrebbero avuto un profondo impatto teorico, clinico ed etico, ma fino ad oggi non si sono avute. La dimostrazione di un aggiornamento della memoria mediato dal consolidamento nell’uomo si è rivelata estremamente problematica. Tom Hardwicke e colleghi, in uno studio presentato da James L. McClelland dell’Università di Stanford, hanno cercato le prove a sostegno delle validità di questa tesi.

I ricercatori hanno allestito esperimenti mediante i quali hanno messo alla prova nell’uomo, quattro volte in maniera diretta e tre volte in forma concettuale, il potere del riconsolidamento in funzione dell’ipotesi basata in massima parte sulla dimostrazione che ne diedero 13 anni fa Walker, Brakefield, Hobson e Stickgold[1]. In nessuno degli esperimenti che hanno valutato tanto la rievocazione procedurale quanto la rievocazione dichiarativa, Hardwicke e colleghi hanno potuto rilevare ai test di verifica effetti del consolidamento conformi a quanto osservato da Walker e colleghi..

Quanto emerso da questo studio, che vale la pena leggere nel dettaglio, sembra contraddire la convinzione ormai diffusa e condivisa del ruolo del consolidamento, mettendo in discussione il peso teorico attribuito per oltre dieci anni allo studio di Walker e colleghi.

(Hardwicke T. E., et al., Postretrieval new learning does not reliably induce human memory updating via reconsolidation. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1601440113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Experimental Psychology, University College London, London (Regno Unito).

[Edited by James L. McClelland, Stanford University, Stanford, California (USA)].

Esistono varie classificazioni dei tipi di memoria basate su differenti criteri, una di queste, che conserva lo schema fondamentale delle teorie neuropsicologiche ma integra forme definite in base ad altri paradigmi sperimentali, è oggi per lo più seguita nella ricerca sulla memoria umana. Prevede la canonica distinzione fra memoria dichiarativa e memoria non dichiarativa.

La memoria dichiarativa o esplicita, ossia quella che è presente e disponibile alla coscienza del soggetto nei suoi contenuti, che possono essere facilmente richiamati e comunicati verbalmente, è a sua volta distinta in memoria semantica, ossia la memoria per dati e nozioni che tipicamente si impiega nello studio scolastico, e memoria episodica, ovvero la memoria per fatti ed eventi dell’esperienza di vita, sia autobiografici sia riguardanti persone e circostanze delle quali si è testimoni. Nella memoria semantica sono convenzionalmente inclusi i nomi di persona ed ogni tipo di denominazione, i concetti e le astrazioni di significato espresse linguisticamente da locuzioni, giri di parole, definizioni tecniche, disciplinari o dottrinarie, inclusi gli enunciati matematici e i regolamenti, così come brani in precedenza memorizzati, quali classificazioni, poesie e preghiere[2].

La memoria episodica è da molti autori considerata sinonimo di memoria autobiografica perché ordinariamente valutata chiedendo la rievocazione di brani di vita vissuta. In senso stretto è episodica e non autobiografica la memoria che riguarda eventi e fatti di cui si è testimoni, ma che non sono parte della propria vita. Un esempio è quanto si può verificare durante un lungo viaggio in treno. Può accadere che si assista all’incontro di due persone, poniamo un uomo e una donna che non si conoscono, e si trovano per caso ad essere vicini di posto e che, in quella condizione, fanno la conoscenza, simpatizzano e giungono fino al punto di scambiarsi effusioni, per poi litigare e, infine, fare la pace. Ricordare e rievocare questi fatti è una facoltà che rientra nel concetto di memoria episodica[3], mentre ricordare il nome di questi viaggiatori appartiene ad un processo ascritto alla memoria semantica. L’esempio dell’esperienza del viaggiatore, spettatore di eventi che non lo riguardano direttamente, introduce ad una forma di memoria episodica non autobiografica che spesso è oggetto di studio in condizioni di saggio sperimentale. È evidente che questa forma di ricordo è in questione quando si vogliano rievocare episodi che riguardano i protagonisti di un film o di una fiction televisiva, la cui trama è vissuta come esperienza mediata dalla percezione visiva degli eventi, in una forma ben distinta dalla lettura di un brano, che possiamo assimilare al compito di apprendimento scolastico mediato dalla concettualizzazione di nozioni.

Nella memoria episodica sono importanti due aspetti: la concatenazione degli eventi e la qualità delle circostanze; entrambe sono riferite al tempo dell’esperienza del soggetto.

L’articolazione dei tipi di memoria non dichiarativa o implicita è maggiore e presenta differenze anche notevoli fra i vari autori, ma trattare di questo argomento esulerebbe dai limiti e dai propositi di questa recensione. Si ricorda solo che molti ricercatori – e noi con loro – non considerano sinonimi memoria non dichiarativa e implicita, ma descrivono la seconda come una sub-categoria della prima, secondo questo criterio: la memoria non dichiarativa è distinta in memoria procedurale e memoria implicita, a sua volta ripartita in tre sottotipi: associativa (distinta in emozionale e senso-motoria), non-associativa (distinta in abitudine e sensibilizzazione) e impressiva (corrispondente al priming)[4].

Questo schematico richiamo ai tipi di memoria può aiutare anche il lettore non specialista del campo ad inquadrare il valore dello studio qui recensito che, per porre al vaglio un assunto spesso generalizzato ai principali tipi di memoria umana, lo hanno verificato prima nell’ambito di una memoria motoria e poi in prove basate sulla memoria dichiarativa.

Come si è già accennato, la teoria del consolidamento postula che il recupero (nuova esecuzione, rievocazione, ecc.) possa destabilizzare una traccia già formata, aprendo una finestra tempo-dipendente durante la quale tale traccia è modificabile. Tale nozione, a parte la prova fornita dal citato studio di Walker, Brakefield, Hobson e Stickgold, è sostanzialmente originata da studi su animali metodologicamente basati sull’impiego di interventi invasivi, sia di tipo farmacologico che elettroconvulsivo, finalizzati alla distruzione di un ipotetico processo di ristabilizzazione (consolidamento) che avrebbe luogo dopo la rievocazione. Negli studi sul consolidamento delle memorie condotti sull’uomo si sostiene spesso che i nuovi apprendimenti dopo la rievocazione possono essere usati come mezzo di “aggiornamento” o di “riscrittura” delle tracce della memoria precedenti. Una tale affermazione garantisce un accurato vaglio critico, perché la capacità di modificare l’informazione immagazzinata nel sistema della memoria umana ha profonde implicazioni tanto per le teorie della memoria e dell’apprendimento quanto per l’approccio clinico, per non contare le questioni di carattere etico.

Tom Hardwicke e colleghi hanno preso le mosse dalla ripetizione delle prove sperimentali dello studio del team di Walker[5], che è stato citato in tutto il mondo quale dimostrazione convincente dell’esistenza e delle caratteristiche del processo di consolidamento nell’uomo. Tale studio consisteva nell’analisi dell’apprendimento di una sequenza motoria di tre giorni, che gli autori del lavoro qui recensito hanno replicato con l’intenzione di estenderne i risultati. Ma, alla prova dei fatti, l’assunto teorico non ha retto.

In particolare, in quattro tentativi diretti di replica (n = 64) i ricercatori non hanno rilevato l’esistenza dell’effetto di invalidamento che era stato considerato nello studio precedente come un indicatore dell’ablazione della traccia di memoria motoria pre-esistente. In tre ulteriori repliche concettuali ((n = 48), Hardwicke e colleghi hanno esplorato in termini più estensivi la validità della teoria di consolidamento/aggiornamento, usando un compito di rievocazione dichiarativa e sequenze simili a numeri telefonici o a passwords che abitualmente si impiegano nei programmi dei computer. Invece che indurre vulnerabilità all’interferenza, la rievocazione mnemonica sembrava aiutare a preservare la conoscenza già esistente delle sequenze, nel paragone con i risultati di un gruppo di controllo che non effettuava prove di rievocazione.

I risultati di questo studio, che sicuramente provocheranno risposte, obiezioni e controverifiche, suggeriscono che la rievocazione della memoria seguita da un nuovo apprendimento non induce aggiornamento della memoria umana attraverso il consolidamento.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-07 maggio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Walker M. P., et al., Nature 425 (6958): 616-620, 2003.

[2] In classificazioni dei tipi di memoria basate principalmente sulla durata (es.: memoria sensoriale, della durata di pochi millisecondi; memoria a breve termine e working memory; memoria a lungo termine; ecc.) le informazioni autobiografiche, così come le preghiere imparate da bambini e ricordate per tutta la vita, si attribuiscono ad un comparto speciale della memoria a lungo termine detto permastore (“magazzino permanente”).

[3] Ricordiamo che si tratta di un concetto che, come quelli corrispondenti a tutti gli altri tipi di memoria di questa classificazione, non è scientifico, ma può dirsi operativo, ossia pragmaticamente utile e corrispondente ad una entità definita in chiave logico-empirica su una semplice base intuitiva.

[4] Per una discussione più dettagliata si veda nella sezione AGGIORNAMENTI del sito “La memoria e il sonno”, e poi i numerosi scritti su questo argomento nelle NOTE E NOTIZIE. Si ricorda, di passaggio, la concezione di Gerald Edelman secondo il quale la memoria è una caratteristica del sistema (molecolare, cellulare, dei circuiti, ecc.) nel quale si produce e, pertanto, la sua comprensione deriva dalla conoscenza del sistema, e una sua descrizione efficace non può essere astratta dal sistema stesso.

[5] Walker M. P., et al., Nature 425 (6958): 616-620, 2003.